Gli occhi di un particolare insetto diventano le nuove fotocamere degli smartphones -

Gli occhi di un particolare insetto diventano le nuove fotocamere degli smartphones

Gli occhi di un particolare insetto diventano le nuove fotocamere degli smartphones

A volte l’innovazione tecnologica non inventa nulla di nuovo, ‘prende spunto’ da qualcosa che già esiste. È il caso delle nuove frontiere delle nanotecnologie sempre più ispirate dalla natura, come quello degli ‘occhietti’ di un curioso insetto chiamato Xenos peckii che stanno ispirando lo sviluppo di nuove fotocamere per smartphones

 

Credits: Michael Hrabar on Flickr – www.flickr.com/photos/michaelhrabar/

 

Era il 1999 quando alcuni scienziati [guidati da Ron Hoy, professore di neurobiologia e comportamento alla Cornell University e co-ricercatore su uno studio pubblicato sulla rivista Science] spiegarono, per la prima volta, la strana struttura degli occhi di alcuni parassiti che vivono generalmente nel corpo di alcune vespe; creature che hanno degli occhi a forma di lampone che conferiscono loro un sistema visuale unico, mai trovato su altri animali o insetti. La maggior parte degli insetti ha strutture oculari ‘composte’ che catturano frammenti di informazioni visive che poi vengono ‘ricostruite’ in una sorta di mosaico di pixel (dal cervello dell’insetto), ma questi strani parassiti, chiamati Xenos peckii, hanno una struttura di cui, secondo il team della Cornell University che lavorava a questo studio alla fine degli anni ’90, si aveva una vaga traccia solo grazie ad alcuni fossili risalenti all’era Paleozoica.         

Le femmine di questa specie parassita sono non vedenti e non abbandonano mai il corpo della vespa che le ‘ospita’; i maschi devono invece lasciare il corpo dell’insetto per fecondare le femmine [missione dopo la quale, come molte altre specie di insetti, muoiono] e per compiere l’eroica impresa hanno sviluppato un sistema visivo piuttosto ‘voluminoso’ composto da migliaia di piccoli ‘occhietti’ (ognuno dei quali ha un diametro di 65 micron, 65 milionesimi di metro) che fungono da lenti e ricettori grazie ai quali catturare le informazioni visive (ricostruite poi da un set-up neurale che gli scienziati stimano ‘occupino’ come processo il 75% del cervello dell’insetto parassita).

Questa lunga premessa è doverosa per spiegare perché, quasi vent’anni dopo questa scoperta, si torna oggi a parlare degli Xenos peckii. Un gruppo di ricercatori presso la Fraunhofer Society in Germania (si tratta di una organizzazione pubblica finanziata dal governo tedesco) ha approfondito le ricerche sul ‘metodo visivo’ adottato dal parassita per replicarlo tecnologicamente e utilizzarlo come base nello sviluppo di nuove micro-fotocamere più potenti ed avanzate da installare ed integrare negli smartphones. I cosiddetti ‘occhi composti’ degli insetti, generalmente offrono una risoluzione peggiore dell’immagine rispetto all’occhio umano (cui è ispirato il funzionamento delle fotocamere moderne: la luce come energia elettromagnetica viene catturata da una lente ed entra negli occhi agendo sui fotoricettori posti sulla retina, processo che avvia percorsi neurali che consentono al cervello di ‘restituire’ l’immagine) ma garantiscono un campo visivo molto più ampio; la ‘scoperta straordinaria’ legata agli Xenos peckii è che la loro struttura visiva offre un bilanciamento ed un compromesso tra questi due estremi, ossia una buona risoluzione dell’immagine unita all’ampiezza del campo visivo. Da qui l’idea dei ricercatori di ‘replicarne’ tecnologicamente il funzionamento.

Finora gli scienziati coinvolti in questa ricerca sono riusciti a creare una macchina fotografica con 135 ‘faccette’ (che simulano le lenti degli occhietti dell’insetto) che occupano in totale solo 2mm di spessore, purtroppo però con ha una risoluzione di un solo megapixel. Tuttavia, i ricercatori che lavorano allo sviluppo della facetVISUAL camera, come la chiamano loro, pensano di poter elevare le prestazioni a quattro megapixel in breve tempo, risoluzione che permetterebbe applicazioni non solo per svago ma anche per ambiti medici o industriali (da applicare per esempio sulle sonde o come sensori visivi per alcuni tipi di robots). Per applicazioni più sofisticate, come in realtà quelle già in uso ora sugli smartphones, gli scienziati devono intervenire sulla scelta dei materiali e sulla composizione dell’hardware [per i primi esperimenti hanno seguito un processo simile a quello per la costruzione di un microchip dei Pc] ma stimano di poter presto giungere alla creazione di una camera di questo tipo dello spessore di 3,5mm e con una risoluzione superiore ai dieci megapixel, quindi perfettamente integrabile negli smartphones.

Resterà poi da ‘smarcare’ lo strato software: una camera costruita secondo questi principi richiede un’applicazione apposita per la ‘ricostruzione’ dell’immagine, esattamente come avviene nel cervello del curioso insetto parassita.

 

 

 

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